Quando scrivo mi è difficile parlare delle persone che fotografo.. preferisco parlare di ciò che mi ha lasciato il passare del tempo con loro.
Un po’ è anche per riservatezza, certo, ma ciò che avviene durante i nostri incontri preferisco sia raccontato dalle fotografie, lasciando le nostre chiacchiere imbrigliate al silenzio sospeso di questi scatti.
Ci sono coppie con cui la fiducia è talmente immediata da poter “stare” da subito, ovvero da poter osservare da vicino il loro “sentire” senza essere percepito come intruso.
Percepire il reciproco sentire dalla giusta distanza, la macchina fotografica può essere il passepartout per ogni porta, per ogni storia personale, per ogni intimità dello spirito, in un gioco di ascolto e attenzione per rompere i confini e resistenze sulla via della fiducia e libertà di essere.
Perché una macchina fotografica puntata può essere davvero una violenza per qualcuno e il mio compito è far sentire che non mordo, che ci si può lasciare andare e mostrarsi per quello che si è e senza dover essere nient’altro che se stessi.
Le foto che riconsegno sono quindi il frutto di una elaborazione anche di cuore, di pancia, di testa di tutto ciò che risuona e in cui mi ritrovo nell’incontro col prossimo, soprattutto (quasi sempre) quando in questo incontro ci si sente di aver condiviso qualcosa in modo istintivo e istantaneo, senza forzare nulla.
Trovare dei punti di connessione anche nel breve spazio di un primo incontro conoscitivo ha sempre qualcosa di magico.
Quante parole mamma mia… Tutto questo per arrivare a parlare questo di primo incontro, con Elena e Simone.
Di cui ho già detto tutto quel che potevo dirti, il resto son cose nostre. Tiè.
Photo credit: Mattia Medici